Bentrovati alla rubrica meno letta, la mia ovviamente.
Dopo mesi torridi di un’estate che pareva volerci carbonizzare, io e il mio caporedattore, rinfrescati dai temporali degli ultimi giorni, ci siamo messi al lavoro…
A dire il vero io lavoro, lui dirige stravaccato sul suo cuscino, totalmente indifferente che quella a sgobbare sono io! E oggi parleremo dell’indifferenza.
Ma andiamo subito a scoprire la sua etimologia, il vocabolario dice testualmente: “Indifferènza dal latino indifferentia, der. di indiffĕrens «indifferente»”.
E fin qui non ci svela quasi nulla su questo termine, ma tutti noi sappiamo, a grandi linee, cosa è l’indifferenza e quanto danneggi la collettività.
Un uomo o una donna indifferente, o peggio ancora un’intera comunità, portano a perdere il senso di unione, di aiuto reciproco, di umanità che ci dovrebbe essere tra simili.
L’indifferenza è molto diffusa, tanto da creare casi di cronaca sempre più frequenti dove spesso ci scappa anche il morto, e la vittima si sarebbe salvata se i testimoni oculari dell’aggressione in atto fossero intervenuti al posto di filmare il fatto con il loro cellulare.
E qui siamo al culmine dell’indifferenza che porta l’essere umano a non stupirsi più di nulla, ad assistere ad un omicidio senza intervenire o chiamare aiuto, come se fosse routine, come se vivesse in un grande gioco virtuale dove ciò che avviene alla fine non è reale, e lui di conseguenza assiste sereno, e spesso diviene complice dell’aggressore.
Per cui credo che siamo tutti concordi (a parte i c… che filmano aggressioni senza intervenire) che l’indifferenza è un atteggiamento deprecabile in una società civile!
Ma se ci va di analizzare più nel profondo questa parola, potremo scoprire come l’indifferenza viene interpretata dalla filosofia. Cito testualmente il vocabolario: “In filosofia questa parola indica uno stato tranquillo dell’animo che di fronte a un oggetto, non prova per esso desiderio né repulsione; o che, di fronte all’esigenza di una decisione volontaria, non propende più per l’uno che per l’altro termine di un’alternativa.”
Di prima battuta un uomo indifferente, visto dal pensiero filosofico, è un uomo che non prende decisioni, non sceglie, sta nel mezzo, e così evita tutte le responsabilità che ne conseguono, ma da piccoli non ci avevano insegnato cosa è bene e cosa è male? Forse fare la cosa giusta non sempre è così palese come noi pensiamo.
In filosofia si parla di stato di tranquillità, ma un uomo indifferente verso le necessità altrui può davvero dormire sonni tranquilli? Quel famoso senso di colpa appare non attanagliarlo portandolo a vivere serenamente come se tutto ciò che avviene intorno a lui gli scivolasse addosso, non lo sfiorasse, e se in filosofia viene vista come un modo per mantenere serenità interiore, nell’ Ascetica (cito dal vocabolario) “è lo stato (necessario al conseguimento della vita perfetta) in cui si rinuncia a ogni scelta finché non si conosca la volontà di Dio per uniformarsi completamente ad essa. “
Nel secondo caso mi pare un po’uno “scaricabarile”: qui si aspetta che sia Dio a indicarci se è meglio aiutare lo sventurato che le sta prendendo di santa ragione, o filmare tutto con il cellulare? Il mio caporedattore dice che come al solito esagero, ma a me queste versioni mi portano a queste umane conclusioni: Indifferenza vista da noi comuni mortali: atto cattivo, deprecabile e condannabile.
Vista in filosofia: un atto necessario per trovare serenità nell’ animo.
Vista, non so da quale teoria mistica, un affidamento a Dio in attesa che lui scelga per noi.
In queste due ultime versioni, seppur apparentemente assurde, c’è un po’ di verità e non possiamo negarlo.
In certe occasioni potrebbe essere anche giusto usare indifferenza per tutelare quel minimo di serenità personale che ci permette di proseguire a vivere in un mondo sempre più corrotto e violento.
E in ugual modo affidarsi a Dio, e attendere un suo segno per agire, è un atto di fede importante…
Ma nel frattempo che noi scegliamo se è meglio stare sereni o attendere i segni del cielo, c’è un mondo là fuori sempre più violento che ha bisogno di uomini e donne solidali e soprattutto in grado di decidere.
Perché se è vero che le cose singolarmente sono difficili da cambiare, e spesso viene facile allontanarsi, non occuparsi dei problemi altrui, è pur vero che ognuno di noi un giorno potrebbe imbattersi in un INDIFFERENTE e capire quanto questo sia doloroso nel momento del vero bisogno.
Martin Luther King diceva: “Non ho paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti.”
A voi le dovute conclusioni.
Alla Prossima!
Monica Pasero