La leggenda dei sassi

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La leggenda dei sassi

La sera prima di quella domenica il mio ragazzo ed io decidemmo di fare una passeggiata nel bosco per raggiungere insieme il villaggio abbandonato. Sapevamo che fra le poche case di pietra dell’antico borgo, diroccate dagli anni e dalle intemperie, avremmo trovato un pozzo prosciugato: per una tradizione atavica, gli innamorati raccoglievano due sassi fra quelli disseminati intorno, vi incidevano il proprio nome e li gettavano nella sua cavità, con il segreto desiderio che il destino proteggesse dalle avversità la loro relazione.

Il terreno, molto morbido, era ricoperto da un muschio umido, mentre gli alberi si innalzavano così tanto da creare un’ombra maestosa che ci avrebbe regalato un tempo fresco per tutta la durata del cammino. Mentre il mio compagno avanzava più veloce, io mi fermavo volentieri qua e là ad osservare minuziosamente il bosco che mi circondava. C’era una gran varietà di piante, si sentiva il rumore del vento tra le foglie e il cinguettio degli uccelli.

Mi sentivo così bene e rilassata da avere quasi paura di interrompere la magia di quel posto con la mia presenza.
Ad un tratto, però, il cielo si fece più cupo, proprio mentre ci addentravamo in una piccola galleria di betulle e il paesaggio di colline tutto intorno si tinse di colori più forti. Respirai lentamente, lasciandomi inebriare dall’odore pungente dell’argilla e, mentre osservavo il meraviglioso spettacolo dei colli sinuosi, mi piacque immaginare di trovarmi in una landa remota e isolata del giardino originario, quello abitato dalle genti ai primordi della vita, quando la purezza delle coscienze e delle intenzioni permetteva loro di realizzare la pace sulla terra.

Tornando indietro nel tempo, riavvolsi nella mente l’immenso nastro della storia e rividi, come in un sogno, la prima umanità che aveva popolato le distese deserte del pianeta: trattenni il respiro e immaginai l’ebbrezza dei loro colloqui silenziosi col Creatore sotto la volta stellata del cielo.
Quindi arrivarono le prime gocce d’acqua, mentre il suono ovattato di un tuono mi riscosse all’improvviso e mi trascinò con forza al presente: dovevamo tornare indietro e rinunciare, quel giorno, al villaggio in pietra e al suo pozzo degli amanti. L’indomani, in una gelida domenica di primavera, sarei partita da sola per un tempo indefinito.

Sono passati anni da quella giornata, ma i ricordi non sbiadiscono affatto. Adesso sono adulta e quel bosco, con i suoi colori e i profumi vivaci, non esiste più. È sparito insieme ai sogni della mia giovinezza, quando l’uomo ha deciso di distruggerlo per il suo egoismo cieco e insensato: ettari di terreno sono stati cementificati e case e palazzi hanno preso il posto degli alberi dalle fronde maestose. Volgo lo sguardo dove una volta c’era la vita e osservo la devastazione dalla mia finestra, ora che una frana ha spazzato via tutto, seminando dovunque morte e distruzione. E piango, perché anche la mia giovinezza è stata travolta da una valanga che ha strappato per sempre il mio compagno da questo mondo, portandosi via le sue promesse, i sogni e i progetti di un futuro insieme.

Ma il villaggio in pietra esiste ancora: sì, mi hanno detto che, oltre la grande collina, al di là del nucleo delle case nuove, attende sempre i pellegrinaggi silenziosi degli amanti, fermo al suo posto come una vecchia nave ancorata in una baia.
E allora riprenderò il cammino, perché devo farlo, perché è rimasto incompiuto. E lo farò per me, per il tempo che è stato, per la natura deturpata di quel luogo e per il mio amore perduto, sradicato da questa terra, ma non dal mio cuore.

Lorenzo Benvenuti 

Vincitore del contest letterario a premi Lo Scrivo Da Me del 30 settembre.