A cavallo tra gli anni ’80 e i ’90, c’è stato un movimento musicale durato un lampo rispetto ad altri movimenti, ma capace di cambiare radicalmente il mondo della musica rock: il Grunge
Il Grunge vero e proprio in effetti è durato il lasso di cinque anni. Si trattò però di un fenomeno complesso da comprendere e descrivere.
In questo periodo la musica rock andò incontro ad un cambiamento epocale, riuscendo allo stesso tempo ad arrivare sugli schermi della tv generalista grazie a gruppi come Pearl Jam e Nirvana. Allo stesso tempo si trattò forse del canto del cigno del rock in senso stretto.
Epicentro del movimento fu Seattle, nello stato di Washington, città in fermento sociale ed economico in quegli anni. Nacque qui il Seattle sound, da cui ne derivarono caratteristiche e approcci in grado di influenzare negli anni a seguire tante band in tutto il mondo.
Grunge nello slang americano significa “sporco” ed è stato coniato dal cantante dei Green River prima e Mudhoney poi Mark Arm. Sembra che addirittura il primo uso del termina risalga al 1981.
Ci si sforza in effetti di incasellare il movimento dentro canoni e date strette, ma non è cosi semplice, ne scontato, dato le tante e diverse sonorità ed influenze dei vari gruppi.
Ci sono però dei punti fissi che permettono di definire il fenomeno grunge. Innanzitutto la matrice hard e punk rock del movimento. L’Hair metal anni ’80 aveva messo all’angolo, almeno nel mainstream, il punk rock di fine anni ’70.
Il grunge, al contrario, riprende quel movimento, accantona sintetizzatori, tastiere, virtuosismi, distorsioni delle chitarre e torna al puro garage rock, sporco, duro, stradale. Tanti saluti al metal, al trash, ma anche all’hard rock, ai Van Hallen e al power pop stile Billy Idol.
A questo si aggiunge l’utilizzo di una forma canzone impostata, che alterna strofe ipnotiche e piuttosto depressive, con ritornelli energici e pieni di rabbia, un po’ come fatto dai Pixies a fine anni ’80. Pixies e cioè Costa Est, quella del noise e dei Sonic Youth e, appunto, dei Pexies, che influenza il movimento per certi versi “fratello” della West Coast, il grunge.
Lo spirito di ribellione e protesta deriva invece dal Punk britannico dei Sex Pistols e dei Clash, con l’aggiunta di un pizzico di introspezione e nichilismo, tipica dei gruppi di Seattle.
Il grunge in realtà non fu solo musica, ma uno stile di vita e persino una moda. Le radici di questo movimento stanno nelle piaghe sociali che affliggevano gli Stati Uniti negli anni Ottanta, quando in ampie zone del Paese dilagavano disoccupazione, abuso di droga e alcool e tutta una serie di problematiche.
Seattle era una delle città che maggiormente ne subiva le conseguenze, con un ampio consumo di eroina tra i giovani, piegati dalla noia e da un malessere crescente.
Nacque così un movimento di ribellione tra i giovani, che si riconoscevano in un look tipico fatto di capelli lunghi, jeans strappati, scarpe Converse usurate, t-shirt vecchie, maglioni pesanti e di qualche misura più grandi, camicie di flanella a quadri.
In questo contesto si sviluppa il Seattle sound, grazie a 4 gruppi detti big four: Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden e Alice in Chains. Ognuno di questi gruppi è diventato capostipite di un determinato filone:
I Nirvana furono fautori del grunge di derivazione punk e noise; i Pearl Jam seguivano il filone derivante dall’hard rock tradizionale; I Soundgarden si sono distinti per aver miscelato elementi metal e punk al meglio; gli Alice in Chains hanno seguito un filone vicino al metal anni ’80; gli Stone Temple Pilots erano per certi versi la quinta colonna del grunge, melodoci e nichilisti quanto basta.
Di fatto il grunge risulta una manifestazione culturale del genere musicale rock più che un genere a se.
Sono i toni e le regole della musica rock che cambiano a Seattle e da li in tutto il mondo, con la musica che diventa sistematicamente ribelle, nichilista, depressa, violenta, pessimista, trasandata, decadente, in disfacimento. Il tutto però con una potenza del tutto nuova, alternata a cadute sdolcinate.
In un attimo si passa dal brano rock tipico degli anni ’70 con lo schema verso-ritornello-verso-ritornello-assolo ad uno schema nuovo: rumore+ritornello+rumore.
Filosofia di vita, stile, contesto sociale
I Jeans strappati, non proprio una novità, sono ripresi dai gruppi heavy-metal californiani di inizio anni ’80, che a loro volta li avevano ripresi dai Ramones di New York; camicia da lavoro aperta con sotto una maglietta sdrucita, non solo in rimando ai tagliaboschi dei dintorni di Seattle, ma soprattutto lo specchio della filosofia grunge, del suo senso esistenziale: svalutazione di tutti i valori e apatia come punto massimo d’arrivo.
Una sorta di indifferenza che sa di sfida, irriverente. Il sistema, la causa di forza maggiore, crea angoscia che sfocia nell’autolesionismo. Un disprezzo un po’ naif del mondo, che nega ogni manifestazione di sfarzo, in quanto dimostrazione dell’illusione stupida di essere eterni e in quanto tradimento delle proprie umili e squallide origini periferiche. Ecco il contesto sociale in cui crebbe il grunge.
Il contesto del grunge è Seattle e dal punto di vista musicale non c’è evoluzione tecnica, è l’hardcore e post-punk californiano (Bad Teligion, Flipper, Dead Kennedys etc) che prosegue, anzi, per certi versi si banalizza persino.
Si, perché in realtà il grunge ha semplificato gli aspetti meno orecchiabili e heavy, puntando su qualcosa di più orecchiabile, quasi pop ma di fatto punk. Chi aderisce a questa nuova scena lo fa senza sentirsi rivoluzionario o volerlo fare, ma senza speranza, rassegnato, privo di ogni aspettativa, sciatto, senza voglia apparente.
L’unica certezza è la fine, si resiste finché il dovere della sopravvivenza non sarà più pressante e si potrà mollare. Fatto sta che, filosofia o meno, il grunge è la musica dell’urlo, un urlo che non si sentiva dai tempi di Iggy Pop.
L’urlo, espediente musicale per trent’anni imbrigliato e lasciato da parte, viene in questo movimento a raggiungere il suo apice in termini di radicalità e ricorrenza. Diventa un qualcosa d’obbligo: e dev’essere sofferto, primitivo, incontrollato, stonato e totale. Parola d’ordine: autodistruzione.
Il grunge fu il movimento per eccellenza della “pulsione suicida”, unica fonte di nobiltà e preziosità. Apatia, sdegno, schifo per tutto ciò che fu l’America di quegli anni. Vengono in mente certi video di Alice in Chains, Soundgarden e Stone Temple Pilots.
Altra pratica ricorrente fu la distruzione degli strumenti sul palco, riportata in voga dopo 30 anni, dai tempi di Jimi Hendrix, ma con un senso nuovo, con la distruzione di se stessi e quella del mondo a cui non si partecipa ma che risulta inevitabile.
In realtà concetti non nuovi se si pensa al punk 77 e all’hardcore della west coast. Anche se qui vengono rivisti in modo originale. Il grunge banalizzò si il noise e l’hardcore con un tocco di pop ma la sua importanza in realtà la si capì poi.
Infatti dopo oltre un quinquennio di continua decostruzione della forma-canzone tramite l’ “effetto-noise”, si tornò a comporre canzoni stile classico o vecchio stile, nonostante i rumori taglienti e sgradevoli, le urla, le cadenze metalliche. E si ripartì con uno stile cantautorale-country chitarra-voce-messaggio.
Il Grunge è spensierato, ma al contempo esprime qualcosa di profondo: è il manifesto di una ribellione nichilista degli esclusi, soprattutto giovani, della società americana di quegli anni.
Gli Stati Uniti erano una società ricca di falle e disuguaglianze irreparabili. Il grunge, in questo contesto, ruppe gli schemi lo fece rompendo gli schemi, nella vita e nella musica.
In un certo senso il grunge è stato un gioco del rock, un gioco autodistruttivo. Il gioco è bello quando dura poco. Certo, ma poi lascia il segno.
Niente rivoluzione musicale, né culturale, il grunge non cambia nulla, non può farlo, si nutre di apatia, fatalismo, depressione, nichilismo. Tutto viene piattamente annullato, persino la differenza tra la vita e la morte. Suicidi ed overdose varie di eroina sono prassi, quasi routine. In questa apatia risiede l’essenza del grunge, e molti suoi esponenti si sono autodistrutti poi begli anni: Curt Cobain, Lainey Staley, Scott Weiland, Chris Cornell.
Musicalmente il grunge ha un effetto sui novanta paragonabile alla new wave sugli ottanta, influenzando anche il pop di quel decennio. Le estensioni vocali dell’heavy metal vengono filtrati dal grunge verso il pop, riuscendo quasi per miracolo a congiungere i due pianeti.
Il grunge ha le sue derivazioni soft e hard negli anni a seguire. Al primo gruppo appartengono personaggi come Alanis Morisette, i Cranberries, i No Doubt e anche il cantautorato chiaro-noise di Jeff Buckley, PJ Harvey; al secondo Korn, Deftones e tutto il nu-metal attuale. In mezzo una serie di gruppi, dai primi Radiohead a Beck agli Smashing Pumpkins, passando per i Silverchair fino ai Filter o Queens of The Stone Age e tutti quei gruppi direttamente figli del grunge.
In generale nei ’90 come a fine anni ’70, la musica si fa più dura e persino qualche meteora pseudogrunge fa la sua comparsa per poi sparire, vedi 4 Non Blondes, Joan Osborne, durati una hit o poco più.
Altro esempio, il new-punk di inizio ’90 dei vari Offspring, Rancid, NOFX, Green Day si fece largo dopo che le sonorità grunge avevano aperto la via. Anche chi si da all’industrial o al glam ha un impronta urlatrice grunge, da Marilyn Manson ai Placebo, dagli Ash ai Feeder ai Muse. Persino Nine Inch Nails o Rammstein e in un album ci casca pure David Bowie.
Per non parlare del brit pop dei Blur, Oasis, Verve che hanno suoni di derivazione grunge piuttosto evidenti.
Un’altra funzione importante del grunge, fu quello di riportare alla ribalta certi mostri sacri che sembravano ormai dimenticati, penso Neil Young, Iggy Pop e Stooges, Lou Reed e Velvet Underground. Ma anche di aiutare i movimenti paralleli come il noise, che era un po’ il grunge della est coast.
Qualche virata grunge se la sono poi concessa anche gruppi come i REM, i Faith No More, i Red Hot Chili Peppers. Quasi nessuno nei 90 ne è sfuggito. Forse l’Eurodance e poco altro.
Il tutto aiutato dal fatto che in quel periodo alle storiche big three New York, Los Angeles, Chicago sembrava per boom economico e influenza esserci aggiunta la ” piccola ” Seattle.
Il grunge fu una valvola di sfogo per gli adolescenti americani a cavallo tra gli ’80 e i ’90 per certi versi un detonatore di tensioni sociali, un po come l’Hip hop.
Musicalmente, in quanto orecchiabile rispetto al metal, all’hardcore; il grunge è un po’ come se avesse avuto il via libera dalle masse, che si misero ad ascoltare le sue note e il suo messaggio in quanto canticchiabile. Anche chi sta bene si mette a cantare il grunge, pur vivendo da molto lontano situazioni di malessere sociale. E così il benestante americano canta e gioca a fare l’apatico e il cattivo, come chi ne ha ben donde.
Ma il grunge come nacque?
La genesi è bella lunga, per andare a trovare i primi esempi di proto grunge, con l’alternanza piano-forte-piano, rumore-melodia-rumore, con tanto di urlo estremo, assieme all’uso di espedienti garage e ritmiche punk e tempi metal, bisogna andare a prendere il post-punk/hardcore di inizio anni ’80. Qualcuno considera come prima canzone grunge della storia: “Ballad of Jerry Curlan” degli Angry Samoans, gruppo hardcore di Los Angeles. Provate ad ascoltarla.
Poi la urlatissima “Riot” dei californiani Dead Kennedys, molto rabbiosa, quasi animale, e si, già un po’ grunge, ma non troppo, anche questa del 1982.
Anche le distorsioni incredibili e tetre di “Purple Haze” di Jimi Hendrix sono un piccolo aperitivo grunge risalente a 20 anni prima.
Anche gli Husker Du con “Wheels” (“Everything Falls Apart”, 1982) e “Pride” del 1984 ricordano un po il grunge, con le distorsioni e gli urli selvaggi.
Questi e altri sono richiami anticipati a ciò che sarebbe accaduto a Seattle tra gli ’80 e i ’90. Definire come vi si è arrivati resta complicato, persino per i mostri sacri della critica di Rolling Stones, Rumore e riviste varie di settore.
A far da tramite verso il grunge, hanno partecipato due culture americane, ma sempre legate ai diseredati e disperati, sempre nichiliste, nuove, ma con atteggiamenti diversi: l’heavy-metal della West coast (Metallica) e il noise dell’East Coast (Sonic Youth, New York). Due reazioni diverse allo stesso problema.
Butthole Surfers, Black Flag, Dinosaur Jr., Frightwig, ma soprattutto Melvins, sono i padri, anche se non unici, del grunge.
I Melvins facevano, di fatto heavy metal. Si formarono ad Aberdeen (WA) nel 1985 e proponevano una musica un pò thrash (alla Motorhead) quanto noise (alla Flipper e Sonic Youth) e industrial (alla Swans). Un bel mix condito da un incedere ritmico e lento (tipo il doom oscuro dei Black Sabbath) e da un urlato death-metal. I Melvins creavano variazioni di tempo vertiginose ( grazie all’abilità del batterista Dale Crover) e distorsioni chitarristiche molto acute (con la mano di Buzz Osborne, hran personaggio Buzz). Furono un gruppo molto innovativo, anche nell’uso dei vari strumenti. Ricordo di averli ascoltati e scoperti nei primi anni 90, quindi dopo il loro periodo ( prima ero un bimbo ), trovandoli quanto meno originali ma oserei dire affascinanti, folli, speciali.
Ad ogni modo, prima del grunge, almeno negli Stati Uniti, la musica così detta alternativa era rappresentata, oltre che da Metal, dal Noise e dall’Hardcore.
Quest’ultimo decretò la fine del rock d’avanguardia mentre a distruggere il pop rock ci pensava il grunge. Lo stesso movimento non fu univoco, ma suddiviso in almeno due correnti se non di più.
Sicuramente una frangia più estrema, più dura, nel metal e anche nel noise e nelle distorsioni, una corrente che inserisce l’orecchiabilità classica in uno scenario post-industrial; poi un’altra più rock-classic, in stile Neil Young, un’altra ancora in genere Sonic Youth, un po’ più noise e creativa. Aggiungerei pure una variante quasi psichedelica. Insomma un movimento musicalmente non univoco.
Le aree più heavy avevano come “padre” un gruppo: i Melvins. Le frange hard-rock ebbero nei Green River i loro mentori.
Nel 1988 successe che il bassista dei Melvins Matt Lukin, con il cantante Mark Arm e la seconda chitarra Steve Turner, membro dei Green River, formano a Seattle i Mudhoney, definito primo gruppo grunge della storia. I Mudhoney provenivano dai bassifondi, dalla strada, conoscevano a fondo il loro obbiettivo nel mirino: la media-borghesia.
La borghesia era da loro contestata dal punto di vista esistenziale e non in modo propositivo. Non interessava il lato sociale, c’era una disperazione apatica e senza pretese, ne interessi.
Una capacità espressiva spontanea che non si vedeva dal punk del ’77, una dozzina di anni prima. Noise, pop, new wave, dark wave, heavy metal non avevano avuto la stessa vena spontanea.
I Mudhoney, sciancati, coi jeans strappati, distaccati e rabbiosi allo stesso tempo avevano aperto la strada ad un qualcosa di già pronto. E così nacque l’etichetta indipendente, madrina del grunge di Seattle, la Sub Pop e il produttore Jack Endino, insediati ai Reciprocal Recording Studios di Seattle.
I Mudhoney erano noise, stile Sonic Youth, i Soundgarden nacquero come eredi dell’hard-rock classico stile anni ’70 (Black Sabbath, Led Zeppelin), con influenza metal anni ’80. I Soundgarden volevano solo proporre belle canzoni, con cui esprimere messaggi nichilistico-sovversivi. I Soundgarden con i loro riff di chitarra, tonalità di voci e tempi di batteria sono comunque grunge. Sono la parte più metal, “figli” dei Melvins.
Questi erano tecnicamente molto preparati e per adulti e di questo erano compiaciuti, erano per gente vissuta ed esperta. Non le storie post- adolescenziali e da disadattati.
Gli Screaming Trees di Mark Lanegan erano un po’ sulla stessa falsa riga, anche se influenzati dal rock classico anni 70 di Neil Young e Springsteen.
I Nirvana furono il grunge in tutte le sue forme, nel vero senso del termine. Il grunge si è diffuso nel mondo soprattutto grazie a loro e grazie a loro un codazzo di gruppi precedenti e successivi si sono arricchiti. Erano soprattutto Kurt Cobain (1967-1994), per molti l’ultimo martire del rock.
Sulla costa est nel frattempo c’erano i Pixies autori tra l’altro dell’album capolavoro “Doolittle” del 1989. Facevano rock, indie rock, stile garage originalissimo, potente e delicato allo stesso tempo.
Cobain li ascolta, come ascolta e studia i Melvins dell’amico Buzz Osborne, i Butthole Surfers. Ama il noise dei Sonic Youth, gli Husker Du; studia il punk dei Sex Pistols, Neil Young, gli Stooges, na anche i Black Sabbath, i Led Zeppelin fino ai Kiss o l’immancabile icona David Bowie.
Da tutte queste influenze assume qualcosa, fino a giungere al suo capolavoro assoluto: Bleach. Non si era mai sentito niente del genere prima. Non c’era dubbio che Cobain avesse una sensibilità speciale nel capire quel contesto e quel momento.
“Bleach” è un album garage-rock, ma spinto al livello massimo sia in senso di qualità che di espressione. Niente accademia, niente virtuosismi particolari: strada, vita.
Il risultato sono dodici brani, uno diverso dagli altri e tutti originali e di qualità. “Bleach” è considerata la sintesi perfetta dei Melvins e Mudhoney e viene considerato l’album grunge per eccellenza.
La sopportazione del tutto e l’apatia verso il mondo portano all’evasione. È “Nevermind“, album del 1991 a diffondere però la musica dei Nirvana, praticamente ovunque. L’album, con i suoi ritornelli melodici, i suoi testi nichilisti e scorati e le sue accellerazioni vocali improvvise, fece breccia in tutto il mondo.
La stessa copertina di Nevermind appare più propositiva di quella di Bleach. Cambia il colore, azzurro e non nero. Cambia lo stile, meno autobiografico e più rivolto al mondo.
Apatia, senso di rabbia lasciva che esplode, facendosi carico dei “looser” di tutto il mondo e dandogli la riscossa, ma allo stesso tempo scaricando chi looser non è e dando un senso di trasgressione a chi conduce una vita di routine. Questo è ciò che i due album creano nelle masse di giovani tra gli ’80 e i ’90 e per questo coinvolsero tutti.
Il risultato è esplosivo, due capolavori nel loro genere, entrambi gli album. Magari non per i cultori dei virtuosismi, nemmeno per chi cerca qualità trascendentali nella musica, ma nel loro contesto senza dubbio si.
Nel frattempo, un altro gruppo, capostipite di un altra corrente di questo strano contenitore chiamato grunge, salpava verso un futuro longevo e radioso: I Pearl Jam di Eddie Vedder, dalla voce roca e calda allo stesso tempo.
L’hard-rock classico americano anni ’70 era il riferimento per loro. Qualsiasi appassionato di musica sa che i Pearl Jam non portarono nulla di nuovo nel panorama musicale, dal punto di vista tecnico o stilistico, ma hanno dimostrato negli anni, nei decenni, di saper creare tante buone canzoni melodiche e hard rock e sempre con discreta continuità, sino ad oggi.
Nei decenni diversi buoni pezzi e un paio di album di ottima fattura. Inoltre Eddie e compagni sono stati, fino a poco tempo fa, degli ottimi performer da palcoscenico.
Poi ci sono i più metal, anche se melodici e distorti, a proseguire il filone dei Melvins: Gli Alice in Chains. Forse i miei preferiti, ma i gusti son gusti. Per molti i piu indigeribili, in realta sono molto grunge, quasi strafottenti. Ignorati nel 1995 dalla critica nell’album omonimo, si sono rivelati un ottimo e originale gruppo. L’album sembra post rock, sembra il funerale del rock nel senso classico. Un rock definito dai critici “dilatato, soffuso”. Io lo definisco “polleggiato” e anche allucinato, cupo, tetro. Ma molto affascinante e di qualità. Layne Staley con la sua voce inconfondibile e graffiante, spesso in coro con gli altri membri, lo interpreta alla perfezione. Un coro apatico anche qui, lascivo.
Molto visionari e molto doom, con un tocco Black Sabbath.
E così ad inizio ’90 il grunge si espande in tutto il mondo: Stone Temple Pilots, Smashing Pumpkins (“Mellon Collie and the Infinite Sadness” del 1995, con il brano “Bullet With Butterfly Wings”, ovvero grunge americano fuori Seattle), Silverchair, Bush, Mad Season, Creed, Blind Melon, Stiltskin , i primi Radiohead, e molti altri.
La controparte femminile è il movimento “riot grrrl“, femministe sui generis, che non ripudiavano la famiglia, ma la gestivano in modo easy. La furia punk era il loro mood, contro la noia, l’ingiustizia, lo squallore, i tradimenti, nascosti negli armadi della borghesia americana.
Le Frightwig di San Francisco, con la voce urlante di Cecilia Lync, dei primi anni 80, ma anche Siouxsie and the Banshees, gruppo inglese dark anni ’80, erano il loro riferimento.
Nel 1985 a Los Angeles nacquero cosi le L7 a fare quello che ancora al maschile non era nato, un grunge primordiale chiamato al tempo fox core. Anche le Babes In Toyland , molto brave più tribal, nel 1987 anticiparono i tempi. Poi con le Hole nasce il vero e proprio grunge al femminile. La leader è proprio la moglie di Cobain, Courtney Love.
Per molti, dal punto di vista del trio chitarra-basso-batteria, Nevermind è l’ultimo album rock, il funerale del rock, tutto ciò che viene dopo è “post-rock”.
In effetti tutti i generi musicali succesivi sono usciti dagli schemi classici del rock, penso al crossover, al neo punk, alla jungle, all’industrial, al nu-metal, l’indie, il trip pop, fino ai fenomeni più recenti che mischiano generi hip hop e pop con elettronica e rock. Insomma il grunge è stata forse l’ultima corrente innovativa del rock, nel vero senso del termine, ma mai dire mai.
L.D.