Dolci favole al sapore del vento
Sono tornata a guardare il cielo che compare tra le foglie mentre sono distesa sotto l’albero che ha quasi mille anni. Seduta sul prato tocco la terra friabile e guardo in alto fra le fronde. Intorno la pietra dei muri a secco raccolte in un tempo lontano a segnare i confini. Mentre raccontava “li cunti”, seduta su uno sgabello di legno con noi bimbi intorno proprio in questo giardino, diceva che non sarebbe arrivata a vedere quel miracolo compiere mille anni, ma che era già un miracolo che noi tutti fossimo lì, a goderne l’ombra e a guardare le forme del vento.
Non è che capissi proprio tutto quello che diceva. Oggi, che sono più vicina alla sua età di quanto non lo fossi allora e so che neanche io sarò presente a quel compleanno, riconosco in quel che vedo e in quello che sento le sue parole.
La quercia, il miracolo, ti accoglie e ti avvolge nel suo mondo, basta passarci davanti e non puoi resisterle. Devi farti abbracciare. Mi posiziono proprio lì dove la nonna ci portava e il sonno e la luce e il suono e i colori, fanno emergere le sue parole che ricamano ricordi fra i rami. Ogni volta che la vita mi ha travolto coi suoi dolori, tornavo qui come luogo della mente in cui trovare le risposte. Ripercorrevo le strade che dal paese portano lì. Ci sono diverse opzioni e ogni volta decidevo quale prendere: la breve discesa dietro la chiesa e poi la sterrata, o la grande strada asfaltata che porta al mare dopo la piazza centrale, o dalla periferia a scendere fra le curve.
Un’emozione diversa accompagnava la scelta.
Poi entravo in quello spazio. Intorno un cielo complice, i rovi con le more, alcune grosse e sugose e altre ancora dure e verdognole, gli ulivi argentei donatori di ricchezze a un popolo fieramente arso dal sole e dai dominatori. La danza dei papaveri e la saporita papaverina in rivalità con la cicoria; i petali di fiori senza nome, consistenti ma umili come le donne di questa parte della terra; e l’origano, il timo, le uve profumate di salmastro.
Come non credere al fatto che la pelle si nutra della stessa sostanza di luce e aromi del paese dove sei nato? Come non credere che la stessa acqua imprevedibile e agognata, che filtra in questa rossa e ferrosa terra, non solchi anche gli eventi della tua vita creando percorsi anarchici e irriverenti, in cui niente può il controllo? E così le preghiere diventano le favole narrate dalla nonna sotto la Vallonea. “Santa Barbara ferma le nuvole del tempo che non mi consente di prendermi cura di chi amo”. “Orco abbatti i pregiudizi che ti vogliono avido di fanciulle, trasformati e restituiscimi le cose autentiche e i sorrisi veri di coloro che mi hanno tradito”. “Vecchina veggente temuta da tutto il paese, accompagnami quando ho paura”. “Pescatori stremati dalla durezza delle reti e dalle trame della vita, perduti nei canti sognati, riempitemi di speranza”.
E posso, ora, continuare ad andare circondata da parole, idiomi, cadenze e voci.
Maria Gabriella Manno

Lo scritto si è classificato al secondo posto al contest letterario a premi sezione poesie Lo Scrivo Da Me del 30 settembre.