La storia dell’olio nel Salento

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Di Raimondo Rodia

Oggi vi propongo brevemente la storia millenaria dell’olio salentino, che ad un certo punto della sua storia divenne un olio usato per altri usi che non fossero quelli alimentari, oggi parleremo dell’olio lampante. Gallipoli fin dall’inizio del XVI secolo, risultava la maggiore piazza europea in materia di produzione e commercializzazione dell’olio di oliva per cui l’amministrazione dell’epoca tassava l’immissione dell’olio proveniente dall’intera provincia che serviva nella stragrande maggioranza, non per usi alimentari, ma in particolare si produceva un tipo di olio grasso e che non produceva fumo, un tipo di olio che serviva ad illuminare le grandi città d’Europa cosicchè Londra, Parigi, Berlino, Vienna, Stoccolma, Oslo, Amsterdam, Istambul presto  usarono l’olio salentino per illuminare le loro strade, questo fino alla fine del XIX secolo, quando, l’arrivo dell’elettricità mando in crisi l’esportazione del cosidetto olio lampante.

Frantoio salentino

La produzione di quest’olio avveniva sottoterra, dove vi erano le condizioni ottimali di calore ed umidità per produrre un olio da esportare, nella stessa Gallipoli vi erano circa 35 frantoi ipogei che lavoravano a ciclo continuo da fine settembre fino a fine aprile due di essi sono stati recuperati e resi fruibili alla visita del pubblico sono quello di Palazzo Briganti in via Angeli e quello di palazzo Acugna-Granafei in via A. De Pace. Della lavorazione niente andava buttato ed anche il sottoprodotto della macinazione e torchiatura delle olive veniva usato per creare un sapone diventato famoso poi, come “sapone di Marsiglia” oppure in alcuni casi veniva impiegato nei lanifici. Vi erano molte saponiere in città, tanto che ancora oggi esiste via Saponere, proprio accanto alla chiesa di S.Francesco. La grande importanza del porto per il commercio dell’olio fece accorrere in città vari commercianti, ma anche le rappresentanze di diversi governi europei.

Il porto di Taranto e il boom dell'olio

Era tanto considerevole il commercio di questo prodotto che papa Gregorio XIII nel 1581 e papa Sisto V nel 1590 accordarono l’assoluzione collettiva a tutti coloro che, impegnati nelle operazioni di caricamento, non avessero santificato la domenica. Per tutto il XVII secolo nel porto di Gallipoli da documenti dell’epoca si ricava la presenza di innumerevoli navi fino a punte di 70 di esse in un solo giorno e spesso solo per l’export di questo preziosissimo olio.

Nel secolo successivo la presenza divenne massiccia tanto che Gallipoli ebbe, seconda nel regno dopo Napoli, il Consolato del Mare, il 29 Gennaio 1741, esattamente un mese dopo Napoli, che era anche la capitale del regno. Il celebre pittore Filippo Hackert su incarico del re dipinse una tela raffigurante il porto di Gallipoli, questa tela, destinata alla reggia di Caserta insieme alle altre meraviglie del Regno si trova oggi nel museo di S.Martino a Napoli. In Gallipoli ebbero sede, fino al 1923 i vice consolati di molte nazioni europee : Austria, Danimarca, Francia, Inghilterra, Impero Ottomano (Turchia), Olanda, Portogallo, Prussia, Russia, Spagna, Svezia e Norvegia. La nomina a vice consoli avveniva per rilascio di patenti da parte del ministero degli esteri della nazione interessata convalidate dal ministero degli affari esteri Italiano.

Tra le tanti patenti una si conserva ancora in Gallipoli, quella di vice console di Svezia e Norvegia data al commerciante gallipolino Vincenzo Palmentola, il suo palazzo fungeva da vice consolato di Svezia e Norvegia e si trova nel cuore del borgo antico della città a due passi dalla Cattedrale di S.Agata. Ma l’incredibile lavoro degli operai all’interno dei frantoi ipogei creo presto miti e leggende. Uno di questi era lo Scjakùddhi, oppure secondo i luoghi carcalùru, lauru, monacizzu, scazzamurièddhu, uru.

Storia dell'olio in Salento

Altro non è il daimon dei greci, oppure l’incubo dei latini, che durante la notte si sedeva premendo sullo sterno, impedendo la respirazione e provocando brutti sogni. Poteva essere ora tormentatore degli uomini, ora benefico. Lu scjakùddhi era descritto come un essere molto basso, ancora più piccolo di un nano, con un cappello rosso a sonagli in testa e ben vestito.

Frantoio salentino

Era un folletto tra il bizzarro e l’impertinente, cattivo con chi l’ostacolava o svelava le sue furberie, benefico con chi gli usava tolleranza. Bazzicava volentieri le stalle dove spesso si innamorava della cavalla o dell’asina che meglio gli garbava, l’assisteva e l’accarezzava, nutrendola della biada sottratta alle compagne o alle stalle vicine e intrecciava code e criniere, quando i cavalli non gli permettevano di mangiare la biada con loro. Lu scjakùddihi era il dio tutelare dei frantoi di olio, specie di quelli ipogei sua stabile dimora. In passato, quando nelle fredde serate autunno-vernine si vedevano esalare fumi dai fori sovrastanti il frantoio si pensava allo scazzamurièddhu che veniva considerato come il benefattore dei poveri e il folletto del focolare domestico. Spesso, si immaginava che fosse l’anima di un morto, che non aveva ricevuto i sacramenti.

Olio d'oliva

Il lavoro si svolgeva in un ambiente malsano, con una temperatura costante di circa 19°C ed un umidità massima, in questo ambiente, operai guidati dal nachiro e bestie svolgevano il loro lavoro, gli uomini con turni di 6 ore, muli, cavalli ed asini bendati per non impazzire, avevano turni di 2 ore, tutto questo a ciclo continuo per 6-7 mesi all’anno. Nel prossimo articolo parleremo dell’olio prodotto oggi.